Il fiore misterioso di Gauguin

di Liliana Beatrice Ricciardi

Ricorre in questi giorni – il 3 giugno 2003 – il centenario della morte di Gauguin. Artista inquieto, maestro del colore, al culmine della maturità fugge da Parigi approdando a Tahiti.

Qui nascono i capolavori che ne fanno un genio unico: le sue donne tahitiane, immerse in una natura arcana e lussureggiante, ci portano a sognare lidi lontani, paradisi sconosciuti.

Nel celeberrimo "Amor Sacro e Amor Profano" alla Galleria Borghese di Roma, "una rosa giace sul sarcofago – scrive Claudio Strinati in Stat rosa, Quaderno 1995 dell'A.I.R.A.S. – accanto al bacile che reca lo stemma della sposa e l'allusione alla perdita della verginità, alla deflorazione, sembra evidente considerato che il quadro appare ormai interpretabile come allegoria matrimoniale...".
Tante, altre rose, simbolo d'amore nelle splendide raffigurazioni di Flora, di Venere, del grande cospiratore Cupido. Ma le più disperate, le più ignote, sono quelle di una Fanciulla non più Bambina e non ancora Donna, in un quadro quasi ignorato del Tiziano ormai adulto, l'Annunciazione della Chiesa di San Salvador a Venezia.
Insuperabili sono le parole di Roberto Longhi in quel memorabile saggio del 1946, là dove usa ben altri toni per il Tintoretto.

"Firenze e Roma hanno ormai convinto Tiziano che l'umanità, persino in figura di mendico, non possa agire che per investitura di dignità e potenza; ma quanto più il gesto è di violenza sorvegliata... tanto più Tiziano l'affatica e consuma, aggredendolo d'ogni parte con le sue sferzate d'aria e di lume carico e strisciante, in una specie, direi, di flagellazione cromatica.

Quando si pensi all'accodamento facile tra eleganza formale... e fermento di colore... (e qui alla mostra ve ne sono... esempi...), s'avvertirà meglio a che abissali profondità s'aggirasse ora lo spirito di Tiziano, implicato in questo dramma crescente dal corpo stesso della sua pittura. La forma antica è un mito irrecuperabile, il ricordo larvale di una potenza perduta e avvolta ormai da un velame cosmico, caotico come nella Annunciazione di San Salvatore,... uno dei dipinti più disperati dell'arte; dove la stanza è invasa come da un rogo semispento d'apocalisse che screzia le figure, le imbratta, le usura in un aspetto di "impressionismo magico". E l'apocalisse seguiterà negli spettri e nelle allucinazioni del Greco".

Il visitatore fortunato che si è trovato all'improvviso immerso nell'atmosfera impressionante della Sagrestia della Cattedrale di Toledo, tra le storie del Greco, forse proverà la stessa sensazione di annientamento nella semioscurità dell'antichissima chiesa veneziana, quasi nascosta tra le sfolgoranti luminosità della città lagunare.

Nessuno però ha colto, in quel drammatico incontro tra due quasi fanciulli – dove l'Angelo però sovrasta la figurina morbida e già femminilmente turgida di Maria – quell'esplosione fiammeggiante accanto alla destinataria dell'Annuncio. Forse sono quelle rose d'amore che Maria è destinata a non cogliere: ed il suo viso di bimba all'improvviso mostra che Ella ha compreso ciò che Le accadrà.

Mistero immenso che Tiziano rappresenta in tutta la sua grandezza.

Anche la fanciulla Ofelia, nel dramma di Shakespeare, impazzita per la pazzia di Amleto, si lascia morire, nel melanconico quadro di Millais, alla Tate Gallery di Londra, annegandosi nel fiume.

"O, what a noble mind is here o'erthrown...
Th'expectancy and rose of fair state...

(Oh, il nobile spirito che va in rovina! ... La speranza e la rosa del nostro bel regno...)

"Oh, me sciagurata!... Che cosa ho visto, che cosa devo ancora vedere!". Non è possibile per Ofelia resistere a tanto strazio: il suo corpo scivola sull'acqua, le rose, rosse, non colte, si allontanano trascinate dalla corrente, tra siepi di rose di macchia...

Paul Gauguin - La perdita della verginitaPaul Gauguin - La perdita della verginitaSorprendente ed enigmatico è il dipinto di Paul Gauguin La perdita della verginità, del 1891, al Metropolitan di New York.

In un paesaggio dai colori smaglianti la candida pelle della fanciulla spicca nitida sulla sfondo verde scuro degli arbusti: questi la nascondono alla vista di un gruppo di persone che si allontanano sulla curva strada verso la collina.

La giovinetta, anch'ella ha il viso gonfio delle bambine in boccio, è ferma, senza pensiero alcuno. Le gambe sono serrate, un piede si sovrappone all'altro, come volesse difendersi o custodire qualcosa di prezioso. Nella mano piegata, tra l'indice e il medio, tiene stretto un piccolo fiore, se ne intravede appena il colore vermiglio.

Uno strano animale e' sopra la sua spalla. Una piccola zampa prende possesso dello spazio in mezzo ai seni infantili e a sua volta la giovane donna appoggia la sua mano sul dorso del compagno. Lo sguardo dello strano essere va dritto a chi guarda la scena, costringe ad abbassare gli occhi. E' come se dicesse: "Sono qui io, questo è il mio territorio, siamo solo noi. Tutto ciò non vi riguarda".

Ha l'apparenza di un lupo, ma può anche essere un cane o una volpe.

Il ricorso al Lessico dei simboli medevali è servito poco. L'affrettata (ri)lettura dei vari testi di storia dell'arte moderna, ancor meno. Si parla dell'influenza dell'arte orientale, di fauvismo: ma il movimento che prende questo nome nasce al Salon d'Automne del 1905, dalla definizione di fauves, animali selvaggi, data dal critico Louis Vauxcelles al gruppo di giovani artisti presenti al Salone.

Scrive David Sylvester: "I colori stridenti, le semplificazioni quasi infantili, il gusto per la deformazione, erano quanto mai evidenti già... nel largo decorativismo di Gauguin fondato sul concetto – formulato da Maurice Denis nel 1890 – che qualsiasi dipinto è prima di tutto una superficie piatta, ricoperta di colori disposti secondo un ordine prestabilito".

A buon titolo si può invece parlare di Cloisonnisme, da cloison, partizione, recinto. E' proprio Gauguin, con Emile Bernard ed altri artisti attivi a Pont-Aven, in Bretagna, ad elaborare questo nuovo stile pittorico, il cui nome deriva da un particolare tipo di smalto detto "cloisonné". Siamo subito dopo il 1890 e La perdita della verginità è del 1891 circa. Sotto l'aspetto stilistico ben corrisponde questo dipinto alla tecnica del "cloisonnisme": stesura piatta di ampie zone di colore intenso, separata da nette linee nere, che crea una pittura bidimensionale in cui vengono accentuati importanza e valore degli effetti decorativi.

E' un periodo fondamentale per le scelte di Paul Gauguin: il 25 dicembre del 1888 rompe con Van Gogh e cerca una nuova via per la sua arte. Si avvicina ai simbolisti, per distaccarsene subito. La sua scelta deve essere radicale, definitiva, diversa. Gauguin è stato il primo a prendere coscienza della morte dell'arte, "a prendere coscienza – come ha scritto René Huyghe, riportato da Vittorio Sgarbi nel suo bel libro del 1989 "Davanti all'immagine", edito da Rizzoli – della necessità di una rottura perché potesse nascere un mondo moderno, il primo a sfuggire alla tradizione latina, disseccata, ossificata, moribonda, per ritrovare tra le leggende barbare le divinità primitive, l'impeto originario...".

Il bancario Gauguin fugge da Parigi nel 1891, stanco della società industriale, delle convenzioni e delle ipocrisie che appartengono alla "buona borghesia" francese. Parte alla ricerca di rapporti umani autentici: "al culmine della maturità – scrive Sgarbi – decide di rifugiarsi – o di ritrovarsi – in una zona lontana dal mondo, interrompendo i rapporti con la propria civiltà: a Tahiti.

Opere di GauguinEgli cerca nella vita, non più soltanto nell'arte, l'evasione". In realtà egli sbarca nell'isola più colonizzata del Pacifico e tuttavia qui nascono i suoi capolavori della maturità, da Sei gelosa? a Nave Nave Moe (Giorni deliziosi), da Te avae no Maria (Il mese di Maria), presentati, questi ultimi due, alla mostra del 1999 alle Scuderie Papaline al Quirinale, al nudo sublime di Donne tahitiane al bagno, del 1891-92, di New York.

E' passato forse un anno dalla fanciulla distesa con il suo compagno misterioso, la turgida tahitiana mostra con disinvoltura le imperfezioni del suo corpo che oggi farebbe inorridire le tenutarie dei centri dimagranti... Ah, fuggire a Tahiti!

Senza sciogliere il mistero della perduta verginità? Proviamo con l'Iconologia di Cesare Ripa, ultima spes. Virginità: Una bellissima giovinetta, vestita di panno lino bianco... No, non è lei.

VERGINITA': Giovanetta, la quale accarezzi con le mani un Alicorno, perché, come alcuni scrivono, questo animale non si lascia prendere, se non per mano di Vergine.

Possibile che sia questa, la bestiola? Il leggendario unicorno del Bestiaire divin di Filippo di Thaun; il Re'em dell'Antico Testamento, che diventa monòkeros; la bestia che nessuno, tranne una vergine, può catturare? E dunque è la Vergine con il liocorno del Domenichino, a Palazzo Farnese? E' la bellissima Giovane con l'unicorno di Raffaello alla Galleria Borghese? E' l'altra di Perin del Vaga a Castel Sant'Angelo?
Oppure è l'innamorata bestiola del lascivo Venere e Tannhäuser di Aubrey Beardsley, dove, però, la verginità non è di casa?

In Gauguin, credo di poter concludere, se di unicorno si tratta, esso rappresenta proprio la perdita di un'inutile verginità (intellettuale, artistica) e la ricerca di una nuova realtà umana, in cui la verginità autentica sta nell'affrontare l'esistenza in modo essenziale, primitivo, senza le sovrastrutture della civiltà e del perbenismo (apparente). Gauguin è l'artista e l'uomo che riesce a liberarsi dalle pastoie della borghesia: quella che irretisce ed omologa tutta l'esistenza.

Se un quadro, (se i quadri) di Gauguin riesce a catturare l'anima del 'passeggero dei musei', del ricercatore di emozioni in tal modo, significa che l'artista è riuscito nel suo intento, nel suo unico obbligo verso gli altri: quello di "comunicare", di trasmettere la bellezza, il genio, che sono suoi propri, allo sconosciuto interlocutore.